Il ragazzo al centro della fotografia di Alfredo Alvi
Un delitto atroce in un’amena città di provincia.
Una testa tagliata di uno sconosciuto nel portabagagli di un’automobile
con a bordo un ragazzo privo di sensi. Si occuperà del caso il magistrato Roberto Salvi,
che già in Sicilia aveva condotto inchieste contro poteri oscuri, mafiosi e
politici. Lo ammirava e collaborerà con luì un giovane e fervente commissario di P.S.
Quell’omicidio, a cui ne seguirono molti altri,
aveva radici lontane, oscure e irrazionali, che avrebbero sconvolto e travolto gli affetti
del giudice, la sua cultura giuridica e umanistica, la ragione
stessa di continuare a vivere. Anche il giovane commissario resta sfibrato
da quell’inchiesta che pareva guidata da impenetrabili
Erinni, mitiche dee delle eterne vendette.
Una testa tagliata di uno sconosciuto nel portabagagli di un’automobile
con a bordo un ragazzo privo di sensi. Si occuperà del caso il magistrato Roberto Salvi,
che già in Sicilia aveva condotto inchieste contro poteri oscuri, mafiosi e
politici. Lo ammirava e collaborerà con luì un giovane e fervente commissario di P.S.
Quell’omicidio, a cui ne seguirono molti altri,
aveva radici lontane, oscure e irrazionali, che avrebbero sconvolto e travolto gli affetti
del giudice, la sua cultura giuridica e umanistica, la ragione
stessa di continuare a vivere. Anche il giovane commissario resta sfibrato
da quell’inchiesta che pareva guidata da impenetrabili
Erinni, mitiche dee delle eterne vendette.
Due agenti di polizia in consueta perlustrazione in collina scoprono
un’automobile abbandonata in uno spiazzo. Con la testa sul volante
c’è un ragazzo narcotizzato. Nel portabagagli c’è un cadavere a cui
è stata tagliata la testa, che non si trova nei pressi.
A parte i tre misteriosi prologhi, questo è un romanzo sostanzialmente
poliziesco, ma anche neogotico, nel senso che si attribuiva a
questa definizione verso la metà del Settecento, quando al predominio
della ragione, del buon senso e della riscoperta del classicismo si
opponeva un certo gusto per l’oscuro, per il
sublime che scaturiva dagli aspetti misteriosi
ed orrorifici dell’esperienza. E infatti non
si può negare che anche nella nostra epoca si
avverte un certo revival dell’irrazionalità.
Il ragazzo al centro della fotografia, da
parte le possibili definizioni, è la storia della
personalità del dottor Roberto Salvi, magistrato
inquirente. Egli aveva avuto l’infanzia
segnata dal suicidio misterioso del fratellastro
Giovanni, figlio naturale dei suoi genitori
adottivi, che l’avevano amato ed educato
all’onestà. Era stato felice con sua moglie,
che però era morta presto, lasciandogli la
diletta figlia Tiziana. Il rimpianto della
moglie lo accompagnava costantemente.
Il dottor Salvi esercitava il suo lavoro con
impegno, tanto che aveva chiesto e ottenuto
d’essere inviato in Sicilia dove notoriamente,
più che altrove in Italia, le leggi si stemperavano
negli affari, non sempre leciti,
nella connivenza con uomini politici e con
altri potentati economici. In Sicilia il dottor
Salvi era diventato “famoso” in senso positivo
da un lato, ma negativo dall’altro. Aveva
resistito a lungo, apparentemente impassibile nei suoi doveri, ma a
lungo andare, logorato dagli ostacoli, dagli sgambetti burocratici e
affranto dalla morte della moglie, aveva chiesto il trasferimento nella
sua quieta provincia d’origine.
In realtà egli meditava di dimettersi presto e talvolta portava in
tasca una lettera di dimissioni dalla magistratura. Però, per sua etica
professionale, non poteva farlo ora che era accaduto quello strano
delitto. Prima avrebbe dovuto risolverlo, tanto più che nel suo lavoro
era coadiuvato dal commissario Arado, il quale lo ammirava per la
fama conseguita in Sicilia. Arado era un giovane funzionario di polizia
che intendeva applicare la legge rigorosamente e fare carriera
come “servitore dello Stato”.
Il dottor Roberto Salvi, uomo retto e metodico, era tuttavia a suo
modo inquieto, con certi segreti impulsi nel carattere che si erano
manifestati pochissime volte. Quando si era sentito ripetere, in una
serata mondana, che esistono delitti che la legge e il diritto, di cui si
va fieri, non possono prevedere e non sanno come trattare, aveva pensato
ai suoi molti studi extra scolastici. Non poteva non contenere nel
proprio modo di pensare i profondi studi filosofici da Blaise Pascal
in su e non poteva, ad esempio, non ricordare i romanzi dello straziante
Fëdor Dostoevskij o anche quelli del più moderno e grottesco
Friederich Dürrenmatt. Per l’uno e per l’altro, e per moltissimi altri,
l’esistenza umana è conflittuale e dominata dal male. Fin dall’Ottocento
le assurdità senza soluzione si erano chiamate nichilismo.
C’era chi proponeva come soluzione “sbronze dionisiache” durante
le quali l’uomo super avrebbe potuto fare grandi cose… ma quali?,
lecite, arbitrarie? Altri pensatori, da quando era stato escluso l’intervento
di Dio nella vita degli uomini, avevano intravisto due possibili
sbocchi: darsi delle regole per continuare a convivere, possibilmente
nella solidarietà sociale, ed era la via che percorreva naturalmente
il giudice Salvi; oppure… la totale imprevedibilità per cui
tutto è senza scopo e tutto può essere fatto per istinto, capriccio,
disperazione, suicidarsi o uccidere senza un
motivo razionale.
Il dottor Salvi ovviamente non pensava
spesso a queste letture giovanili e con il
commissario Arado conduceva le indagini
con intelligenza e assiduità, secondo le
regole. Quel delitto era davvero strano e
inconsueto: il ragazzo, stordito dalle droghe,
era stato portato di peso in quell’automobile?
Conosceva o no l’ucciso trovato decapitato
nel portabagli? Gente del mestiere
come il dottor Salvi e il commissario Arado
avevano escluso che il giovane fosse implicato
nel delitto. Però poi il ragazzo, dopo
aver implorato invano di voler parlare con il
giudice, assente in quelle ore, si era suicidato
lanciandosi da una finestra dell’ospedale.
I delitti si susseguono, avvengono addirittura
delle stragi, ma tutto appare assurdo e
inesplicabile. Il commissario Arado sembra
più determinato ad agire contro qualche
indiziato, reduce addirittura dal Perù, ove
era stato un personaggio importante, benefattore,
ma processato per vizi sessuali e
difeso da altri italiani, suoi acerrimi nemici
segreti, che chissà perché lo avevano salvato con false testimonianze.
In Perù c’era, o c’era stata, una piccola colonia di italiani, amici o
nemici fra loro fin dalla loro infanzia. Sempre nella stretta osservanza
delle regole, o quasi, il dottor Salvi era più cauto nel procedere
contro certi personaggi, colti, autorevoli, autori di pubblicazioni, ex
docenti universitari. Ad ogni modo lo perseguitava, ormai, l’immagine
del fratellastro suicida e la nostalgia della moglie defunta. E qualcuno,
per “schiantarlo”, gli aveva preparato false prove del tradimento
della moglie e lo aveva messo in condizioni di trovare un’antica
fotografia di ragazzi, fra i quali suo fratello suicida.
Il ragazzo al centro della fotografia si chiamava Santero, era un
suo ignorato fratello naturale, uno di quei demoni che nemmeno
Dostoevskij aveva saputo immaginare. Quei delitti venivano da
molto lontano nel tempo, il giudice Salvi, anzi l’ex giudice poiché si
era dimesso dalla magistratura, in un baleno aveva potuto persino
intravedere la sua madre naturale, algida e superba maschera d’una
Marlene Dietrich molto vecchia, intuire la strana famiglia da cui
discendeva, e restarne distrutto. Anche il commissario Arado resta
avvilito, sconfitto e confuso nella sua razionalità e professionalità.
Il ragazzo al centro della fotografia di Alfredo Alvi – romanzo –
pp. 416 - €. 18,00 – ISBN-978-88-7015 -378-1 – Todariana Editrice,
Via Gardone, 29 – Tel. 02.55213405 – e-mail: toeura@tin.it – tgiutta@
tin.it – www.todariana-eurapress.it. – 20139 Milano.