Presentazione del libro di Piero Bellino

Sabato 23 gennaio alle ore 18:00 si terrà la presentazione del libro di Piero Bellino di Castellana Grotte dal titolo "Dall'Alcolizzarsi all'Amarsi", edito dalla CSA Editrice, presso la Sala Convegni "Fondazione Pronovo" in Via della Resistenza 60 a Castellana Grotte.-
La presentazione è inserita nella manifestazione che va dal 18 al 24 gennaio dal titolo "Alcool: Cause, effetti e
danni".
CSA EDITRICE contatti:
Via Tre Novembre 15/17 - Castellana Grotte
Tel 080 2370963 - info@csaeditrice.it
www.csaeditrice.it
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DALL’ALCOLIZZARSI ALL’AMARSI

PIERO BELLINO


CASA EDITRICE: CSA

Codice ISBN: 978-88-96703-02-1

Autore: PIERO BELLINO

Titolo: DALL'ALCOLIZZARSI ALL'AMARSI

Sottotitolo: PER RITORNARE A VIVERE

Anno di Edizione: 13-01-2010

Numero di pagine: 96

Prezzo: 12,00

Genere: AUTOBIOGRAFICO

Abstract:

Tramite il percorso di vita di Piero Bellino si comprende come si può finire drammaticamente in balia dell'alcool senza avere seri problemi alle spalle e anche se si è componente di una famiglia normale.

Bellino analizza ora con lucidità i motivi che hanno spinto lui e possono indurre molti giovani ad avvicinarsi a birra, vino, liquori e quindi ad esagerare fino a divenire dipendenti del subdolo bicchiere. L'Alcool uccide in maniera diretta o indiretta centinaia di migliaia di giovani nel mondo ogni anno, eppure non lo si considera mai pericoloso e si trova nelle dispense e sulle tavole a cui possono accedere i bambini con disinvoltura. Piero Bellino dopo aver toccato il fondo ha intrapreso un percorso di recupero e ha ripreso in mano la sua vita. Ora dedica buon a parte del suo tempo a spiegare in riunioni, seminari e convegni, come si può venir fuori da un problema così grave. Se ce l'ha fatta lui, ce la possono fare tutti e nel libro sono fornite molte indicazioni per poter iniziare la risalita e arrivare all'obiettivo della liberazione dalla dipendenza.

BIOGRAFIA:

Piero Bellino è nato e risiede a Castellana Grotte e lavora presso l'I.R.C.C.S. de Bellis.

Nel 1985 ha istituito il gruppo di Alcolisti Anonimi (AA) a Castellana. Nell'86 ha aperto il gruppo di Alcolisti Anonimi a Lecce su richiesta della Comunità Emmanuel. Nell'87 ha dato vita al gruppo Narcotici Anonimi a Castellana. Dal '91 é Responsabile del Centro Ascolto e della Scuola Genitori della Comunità Emmanuel a Castellana. Dal 1991 al 2002 è stato Educatore presso il Centro Psicopedagogico ‘Villa Tauro’ della Comunità Emmanuel di Castellana Grotte e dal 1998 è Presidente dell'Associazione Emmanuel ‘Scegli la vita’.

INTRODUZIONE

Mi chiamo Piero e sono un alcolista sobrio ormai da ben venticinque anni.

Ripensando alla mia vita, non riesco ancora ad individuare il motivo, la causa scatenante, del mio desiderio, del mio impellente bisogno di bere.

L’alcool ha di fatto dominato, e quasi distrutto, gran parte della mia adolescenza e della mia vita di uomo adulto. Pertanto mi scuso fin da adesso se nella lettura di questo libro alcuni episodi non saranno esattamente collocati e descritti, ma tanti sono i vuoti nella mia mente; dei buchi neri in cui l’alcool ha divorato ogni cosa.

Sono nato e cresciuto in quella che chiunque avrebbe definito una normale famiglia degli anni cinquanta.

Ultimo di quattro figli, non posso lamentare la mancanza di affetto da parte dei miei familiari. I diverbi e i litigi non sono mancati, ma si sono proposti in misura normale come parte integrante di una vita familiare semplice.

Mio padre, figlio di quelli che all’epoca si definivano 'trainieri', era un semplice autotrasportatore, e proprio per via di tale lavoro spesso era assente da casa.

Colei che gestiva la vita mia e dei miei fratelli, che più 'dettava legge' in casa, era mia madre; figlia di piccoli proprietari agricoli, era una donna semplice e devota.

La nostra era una famiglia semplice insomma, e soprattutto nella norma che non generava alcun segnale insolito capace di destare ansie o lasciare presagire quelle che sarebbero state le evoluzioni nella mia vita.

Ricercando i ricordi dell’infanzia, riesco a ricavarne ben pochi, a conferma di quanto questa sia stata quasi banale nella sua normalità.

La nostra condizione finanziaria non era né disastrosa né superlativa. Avevamo il necessario per andare avanti e a volte io, essendo il più piccolo, utilizzavo i vestiti smessi da mio fratello maggiore.

Francesco aveva circa quattro anni più di me e, inutile negarlo, spesso si facevano paragoni tra noi ed erano a mio sfavore. Questo generava talvolta piccoli rancori da parte mia nei suoi confronti.

Anche con le mie sorelle si scatenavano ogni tanto rivalità; ogni bambino può avere rapporti difficili con una sorella maggiore e talvolta può vederla distaccata e fredda.

Forse da allora cominciò a crescere nel mio animo un senso d’inferiorità nei confronti, appunto, di mio fratello e delle mie sorelle, e i miei genitori non se ne accorsero mai.

Un episodio, ad esempio, mi torna in mente.

Capitava che la domenica tutta la famiglia uscisse per fare visite a parenti e amici. Allora bisognava salire un auto e visto che eravamo sei persone, mentre ai miei fratelli spettavano i sedili, a me toccava il bagagliaio. Di tratta di sciocchezze ma, anche se si è in buona fede, un comportamento così spontaneo e scontato da parte degli altri può lasciare in un bambino delle piccole insicurezze.

Resta il fatto che tra le braccia di mia madre ho sempre e comunque potuto trovare affetto e comprensione.

Scavando a fondo tra i ricordi, alla ricerca di quelli che mi hanno regalato picchi di felicità in quegli anni, sicuramente emergono alcuni episodi.

Momenti in cui mi sentivo contento, in pace con me stesso e non inferiore a nessuno, li vivevo nei pomeriggi in cui mio padre mi concedeva di accompagnarlo al lavoro. Entrambi saltavamo sul suo camion e partivamo per quelle che per me erano brevi e rassicuranti gite di piacere. Perché avvertivo quelle sensazioni, mi chiedo ora? Forse perché in quei momenti c’eravamo solo io e lui.

Il suo lavoro lo costringeva a lunghe assenze da casa e questo contribuiva a farmi apprezzare ancora di più la sua presenza. Quando era fuori non vedevo l’ora di riabbracciarlo e quando sedeva a tavola con noi, un’atmosfera di festa aleggiava per la casa.

Potete quindi immaginare il mio stato d’animo quando avevo il permesso di salire con lui su quel gigantesco camion.

Ho sempre avuto stima per mio padre, una figura per me sempre positiva. Non avevo con lui la confidenza che i bambini di oggi possono vantare; a quei tempi bisognava mantenere un certo distacco e si esigeva dai piccoli il massimo rispetto. Ma durante quelle uscite il divario tra noi sembrava diminuire e per questo io mi sentivo importante.

La stessa sensazione di benessere l'avvertivo durante l’estate tra le braccia dei nonni materni, nel periodo della villeggiatura. Il cinguettio delle rondini nelle orecchie, l’attenzione che i nonni avevano nei miei riguardi e il sentirmi parte integrante di un gruppo, erano tutti fattori che riempivano il mio cuore di una grande gioia e mi davano sicurezza.

Ero un bambino come tanti altri, ma non avevo il miglior carattere del mondo. Ero ad esempio molto timido; un punto debole accentuato dalla balbuzie da cui ero affetto nei primi anni della mia vita e che mi rendeva oggetto di scherno da parte di amici e familiari.

Il mio carattere poi mi portava ad avere talvolta reazioni impulsive e ad isolarmi subito dopo.

Può capitare un litigio tra fratelli ma io, invece di urlare contro mio fratello, di fare a botte con lui, correvo a chiudermi in soffitta.

Non so il perché di quel mio comportamento. Anzi sì. Nel mio animo c’erano una miriade di emozioni e un forte senso d’inferiorità mi agitava per una sorta d’incapacità di gestire quei rapporti. La parte ragionevole di me cercava di dirmi che la soluzione ai miei malesseri non l’avrei trovata in quell’isolamento, in quel mio forzato mutismo; avrei dovuto invece parlare, discutere con loro e risolvere quelli che erano normali screzi. Invece era quella la mia maniera di reagire ad un disagio che sentivo sempre più forte e inspiegabile in me. Mi rendevo tra l'altro conto che quel mio comportamento generava l'incomprensione da parte degli altri. Così reagivo ancora peggio al senso d’inferiorità e di non accettazione che avvertivo.

Non è facile descrivere con chiarezza, pensando ora con lucidità alle cose accadute, quello che provavo e ciò che mi animava. Tuttavia quelle sensazioni duravano solo per pochi minuti; pochi minuti di grande confusione però. Poi a quei pensieri si sostituiva la ragione che mi 'spiegava' quanto il mio comportamento fosse sbagliato e non comprensibile per gli altri. Eppure in quei momenti, nonostante subentrasse la razionalità e riuscissi ad allontanare la rabbia, restavo ancora su in soffitta.

Era come se quella stanza polverosa con scatoloni e vecchi mobili fosse un mondo tutto mio; il mio rifugio psicologico. E avevo paura di uscire da esso e di tornare ad affrontare la realtà. Scendendo quelle scale avrei dovuto fronteggiare le parole e gli sguardi ironici dei miei che reagivano così ai miei sbalzi di umore. Anche quei comportamenti poi portarono probabilmente ad accentuare la mia balbuzie e le mie complessità. Perché mi sentivo diverso, incompreso, un membro della famiglia che non aveva voce in capitolo. Ed io stesso mi mettevo in quella situazione, chiudendomi nel mio mondo e lasciando la parola ai miei fratelli più grandi.